Un libro è qui, potete scaricarlo e leggerlo!

Ho finito di scrivere un libro e lo regalo a chi vuole leggerlo.

Il libro lo pubblico su questo Blog,  di seguito a questa premessa e alla copertina, se lo volete in pdf cliccateci sopra,  se lo volete in word, cliccateci sopra e buona lettura.
È  una mia scelta in sintonia con l’idea che ho de libro e che condivido con tante e tanti altri, come opera umana libera e da condividere agevolmente, che non è né può essere una merce da scambiarsi sul mercato in cambio di denaro.
Questo libro parla di carcere. Tanto altro potete trovare di carcere su questo Blog, ci sono notizie storiche e attuali sulla detenzione, però in questo libro la parola va alle persone detenute. Immaginate di aver messo in una cella, nei corridoi e nei passeggi di un carcere dei microfoni, per ascoltare in diretta le parole che tra loro si scambiano le persone prigioniere. Sono parole sconosciute da chi sta dall’altra parte del muro; sono parole che rispecchiano e comunicano idee, tensioni, emozioni, insomma quello che provano le persone recluse.
Pubblicare il libro sul Blog perché?
Non voglio certo criticare né demonizzare gli editori, soprattutto le piccole case editrici. A loro un plauso e il mio affetto perché, tra mille difficoltà, aumentate dalle restrizioni dei governi, propongono tantissime opere che altrimenti non sarebbero conosciute.
Penso però che, ogni tanto, un passo avanti si possa fare. D’altronde con le tecnologie digitali quanti scritti vengono diffusi attraverso blog, social network e siti vari, ci sono interessanti raccolte di racconti, di poesie e di analisi politiche e sistemiche; è tanto il materiale da leggere su internet che, a volte, non abbiamo tempo per farlo. Ci sono anche molti libri pubblicati oltre che in versione cartacea, anche in quella digitale.
A me piace immaginare che, in questo modo, ciò che scrivo venga letto da più persone. Forse mi sbaglio, ma lasciatemi provare. Dunque, dopo i libri pubblicati in cartaceo (Maelstrom e Cos’è il carcere, entrambi editi da DeriveApprodi, e il libro di Ottone Ovidi, Salvatore Ricciardi edito da Bordeaux) questo lo pubblico sul Blog.
Il libro si intitola esclusi dal consorzio sociale”; è questo il termine con cui il regolamento fascista del 1931 definiva le persone incarcerate, e non mi pare, purtroppo, che il sentire comune sulle persone incarcerate si sia allontanato molto da questa definizione, nonostante la Costituzione dica il contrario. Dunque leggetelo, se vi va, non è lungo, 62 schermate in word o in pdf.
Scaricatelo, stampatelo, prendetene parti e utilizzatele come volete. Potete farci ciò che desiderate, spero soltanto che ne vorrete indicare la provenienza.
Se vi piace e vi interessa, ma anche se lo ritenete un obbrobrio o per qualsiasi altra ragione, sono contento se lo divulgate.

Le critiche e le opinioni, se volete, potete scriverle direttamente sul Blog.   Buona lettura!

Anche in versione epub

Copertina finale

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6 risposte a Un libro è qui, potete scaricarlo e leggerlo!

  1. Lorenzo Tamberi ha detto:

    Di seguito una recensione del tuo bel libro pubblicata su Lotta Continua:

    “Queste pagine raccontano ciò che si svolge in un carcere senza nome, ma concreto, reale, un
    carcere dei nostri giorni”; inizia così “Esclusi dal consorzio sociale”, l’ultimo lavoro di Salvatore
    Ricciardi, che ci conduce all’interno di un mondo trascurato eppure pulsante di vita, dando voce a
    chi voce non ne ha.
    Il racconto si apre con un suicidio, uno dei tanti ad affliggere le carceri italiane, che segna un punto
    di non ritorno per i detenuti protagonisti di questa storia. L’esigenza di dare una risposta concreta
    a una vita spezzata dalla detenzione anima le discussioni e le azioni di Nicco, giovane militante di
    un centro sociale da poco in carcere, Giggi, arrestato per essere fuggito da una comunità di
    recupero per tossicodipendenti, Nabil, dentro in quanto promotore delle proteste dei braccianti
    agricoli del Sud Italia, e altri detenuti di lungo corso: Sergio e Marcello, che hanno vissuto
    movimento dei detenuti degli anni ’70 e ’80, Ciccio, Emilio, Er Faina e gli altri.
    Attraverso le loro voci il racconto copre una settimana di vita all’interno della sezione penale del
    penitenziario, scandita da sveglie, conte, perquise e ore d’aria. La metodica gestione del tempo,
    con la sua funzione disciplinante e spersonalizzante, non riesce però a spezzare la voglia di
    resistenza dei detenuti, perché’ il carcere “devi affrontarlo, non puoi schivarlo” come insegano i
    vecchi ai nuovi arrivati.
    La differenza di età e di percorsi di vita dei protagonisti garantisce alla narrazione una polifonia
    che intreccia le rivolte carcerarie degli anni ’70 e le desolate periferie contemporanea, le lotte
    contro il caporalato dei braccianti stranieri e la questione della tossicodipendenza. La necessità di
    elaborare una risposta collettiva a una situazione ormai insostenibile, come tristemente
    sottolineato dall’ennesimo suicidio, permette ai detenuti di sentirsi protagonisti della propria
    storia, uscendo dal paradigma vittimario tanto caro ai “bravi cittadini [che] si indignano per le
    condizioni vergognose del carcere, lo criticano, ma non lo mettono in discussione. Vogliono che il
    carcere rimanga come spartiacque tra il mondo del giusto e il mondo dell’errore”. Non si tratta di
    recitare la parte dei malfattori pentiti ma di ottenere il rispetto della dignità umana che neppure la
    carcerazione può cancellare.
    Con il procedere della storia, l’autore introduce una cartografia del mondo carcerario, fatto di
    suoni da decifrare, come l’intensità della battitura mattutina, linguaggi ellittici e codici di condotta
    da comprendere in fretta; una vera e propria didattica carceraria, che ancora la vicenda a una
    realtà vissuta in prima persona da Ricciardi e magistralmente descritta a uso e consumo dei lettori.
    Ed è attraverso questa lotta, elaborata attraverso il confronto continuo tra i detenuti, ognuno con
    la propria storia e posizione, che il suicidio iniziale diventa un punto di partenza e non un atto di
    resa al sistema.
    Nel libro, scaricabile sul sito Contromaelstrom, vengono toccati anche altri aspetti della vita
    carceraria, come l’abuso di psicofarmaci a cui vengono indotti i prigionieri nell’illusione che
    l’intorpidimento della mente avvicini il momento della liberazione e il rapporto tra
    psichiatrizzazione del disagio e istituzioni di controllo. Non manca poi l’analisi
    dell’individualizzazione dei percorsi premiali, che vengono concessi “solo a chi accetta il dogma del
    trattamento individuale”, in ottemperanza all’individualismo che è il cardine antropologico della
    contemporaneità. Viene inoltra affrontato il tema della segmentazione identitaria dei prigionieri
    perché, che seppur vietata dai regolamenti penitenziari viene quotidianamente utilizzata perché’
    raggruppare i detenuti per provenienza geografica “crea ostilità tra i vari raggruppamenti regionali
    e contrasta l’unità della popolazione prigioniera necessaria per proteste e lotte”.
    In filigrana, a fare da collante all’intero racconto, lo scontro incessante tra il carcere e il detenuto,
    attraverso cui è possibile leggere le comuni tendenze di sviluppo del modo di produzione e dei

    rapporti sociali. Riprendendo Foucault, forte della propria esperienza, l’autore ci mostra come “Il
    terreno conteso tra il sistema carcere e il prigioniero stesso” è il corpo del detenuto. I ritmi del
    carcere (come quelli della produzione) plasmano il corpo del carcerato, che diventa “un campo di
    battaglia” sul quale si combatte per prenderne il controllo, con i prigionieri che lottano per
    mantenere la propria autonomia.
    E in questa battaglia ci sono stati momenti, come gli anni ’70, in cui i” dannati della terra” sono
    passati all’offensiva, sia nel mondo dei rapporti di produzione che in quello carcerario. Come
    sappiamo, lo Stato è uscito vittorioso, e gli sconfitti nei caceri e nei luoghi di produzione e
    riproduzione hanno pagato un prezzo altissimo. Come dice Sergio, uno dei protagonisti del libro,
    “hanno dovuto uccidere la voglia di vivere, che poi non è altro che voglia di agire e di lottare. Sono
    stati frantumati i percorsi collettivi e è stato imposto l’individualismo, così c’è stata un’impennata
    di suicidi. Hanno pugnalato l’ironia e infestate le celle con la disperazione e la sfiducia nella lotta”.
    Ma, come insegnano i protagonisti di questo bellissimo libro, c’è sempre possibilità di riscatto e
    ripresa!
    Lorenzo
    Redazione pisana di Lotta Continua

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